Questo viaggio è iniziato
nel lontano novembre 2004 nella mia casa di campagna, quando un
pomeriggio finii su un canale televisivo in cui due educati signori
di “non ricordo quale” università americana,
affondati in due poltrone di finto cuoio con alle spalle le solite
pareti tappezzate di libri, dialogavano tra loro in merito alla
scoperta dell’Alaska da parte del danese Vitus Bering, agli
ordini di uno dei sovrani più illuminati della storia,
lo zar Pietro il Grande.
Seguii la trasmissione distrattamente sino alla fine, nell’impaziente
attesa della pellicola western con il sempre verde John Wayne,
data in programmazione dopo quell’apparentemente innocuo
dibattito storico-scientifico.
Pensavo che il sibilo delle frecce e quelle cavalcate attraverso
verdi praterie e assolati deserti mi avrebbero fatto dimenticare
il contrammiraglio Bering, invece la mattina dopo con mia grande
sorpresa era ancora lì seduto tra i miei pensieri, mentre
al contrario John Wayne si era dileguato nella immancabile nuvola
di polvere delle cose troppe volte viste.
Aiutato dal silenzio e da un ambiente che favorisce certe fantasie,
seguendo i suggerimenti dello stesso Bering, stesi sul tavolo
la carta geografica del mondo, provando a ripercorrere la strada
della sua spedizione. I giorni che seguirono furono sufficienti
a trasformare quella linea sottile, che avevo inizialmente tracciato
con la matita, in un profondo solco colorato con diramazioni,
cancellazioni, note, date, numeri.
Così senza alcun preavviso, in quel vecchio casale isolato
e nascosto tra i boschi dell’Umbria è nato il mio
viaggio: ma allora non sapevo ancora di trovarmi solo all’inizio
di un’avventura che mi ha portato a programmare un lungo
giro del mondo che amo definire “particolare”.
Infatti a Bering, che oramai si muoveva per casa a suo piacimento,
sono venuti a far compagnia Marco Polo, Lewis, Clark, Leif Eriksson;
chi mi prendeva da parte per suggerirmi un diverso percorso, chi
invece mi sconsigliava, chi con la barba ancora incrostata dal
ghiaccio e dalla salsedine proponeva strade e stagioni più
sicure. C’è voluto un po’ per mettere tutti
d’accordo ma alla fine ci sono riuscito e alcune sere dopo,
stanchi e con la voce roca per il gran vociare, accanto al camino
abbiamo tutti brindato a “quel viaggio che verrà”.
Alla mia naturale curiosità si è unita poi la fantasia
e l’insaziabile piacere di muovermi non lungo le apparentemente
avventurose piste di “7 giorni e cinque notti in Tibet,
tutto compreso”, bensì tra gli sconosciuti meridiani
e paralleli dell’affascinante storia del mondo.
A che io ricordi è stata la prima volta che ho visto John
Wayne girare il cavallo e darsi ad una poco dignitosa fuga. Spero
non me ne voglia, sarò sempre un suo ammiratore, ma quel
giorno ne sono stato felice.
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