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L’estasi di un consumista e la sindrome dell’eschimese
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L’estasi di un consumista e la sindrome dell’eschimese

Ma come vestirsi? Farà freddo, un freddo al quale non sono certo abituato. Il mio primo impulso è stato quello di indirizzarmi verso negozi specializzati nello sci e nell’alta montagna. Ho ceduto ai suggerimenti di premurosi commessi a provare ad inguainarmi in morbide tute fiammeggianti, ma il provarne una, guardarmi allo specchio e scoppiare in una liberatoria risata è stato tutt’uno.
E allora ho pensato che se uno non è un eschimese, non è necessario travestirsi da eschimese: troppe volte ho visto dei tirolesi apparentemente autentici, con tanto di pantaloni in cuoio e cappello con penne di gallo cedrone, passeggiare per le vie di Cortina e tradirsi nel salutare un amico incontrato casualmente con un “uè Peppì chi t’è muerte, qua stai?”. Il memorabile sbarco a Milano di Totò e Peppino De Filippo, nella pellicola “Totò Peppino e la malafemmina” dovrebbe insegnare qualcosa in merito alle variazioni climatiche e al senso del ridicolo.
Così mi sono messo alla ricerca di abiti normali cui apportare delle invisibili modifiche per renderli più caldi. Pochi sanno per esempio che se si sceglie un pesante tweed del Donegal e lo si fa foderare con la più consistente seta utilizzata per l’interno dei cappotti si otterrà un caldissimo quanto normale abbigliamento. Questa e tante altre cose hanno guidato una piacevolissima ricerca che mi ha tenuto occupato per molto tempo.
Sono stati giorni indimenticabili, attimi irripetibili, momenti di pura estasi. Senza il minimo rossore ammetto che l’etichetta che un mio amico tempo fa mi appiccicò, “edonista- consumista- compulsivo”, non è campata in aria.
Quindi, dire che mi fa piacere comprare capi di abbigliamento, onestamente, lo trovo riduttivo rispetto alla realtà delle cose.
Ho il mio negozio di fiducia, dove mio padre mi ha accompagnato tanti, tantissimi anni fa per il mio primo paio di pantaloni lunghi e che continua ad assistermi. È uno dei pochi posti che io conosca dove è possibile acquistare sia uno smoking che un caldo maglione in cashmere o un’infinita gamma di pantaloni di velluto. È un negozio che ha le cose giuste nelle stagioni giuste; l’ho sempre considerato un emporio raffinato e quando ci sono andato con mio figlio per comprare il suo primo paio di scarpe da “grande”, entrambi abbiamo vissuto quel rito d’iniziazione come un emozionante passaggio di “testimone generazionale”.
Si trova proprio al centro di Roma in una di quelle strade quasi sempre all’ombra, di cui con il passar del tempo è diventato l’elemento caratterizzante. Con lo stesso sguardo di un goloso adolescente di fronte alla vetrina di un pasticciere, sono rimasto a lungo a guardare quelle file di giacche ben ordinate prima di puntare il dito sul tweed prescelto. In una Roma che si va sempre più tropicalizzando non è stato facile trovare quello di cui avevo bisogno: certamente se mi fossi trovato nella loro filiale della più fredda New York tutto sarebbe stato meno complicato.
Il risultato di questo piacevole cercare è che avrò un abbigliamento normale, solo più caldo e abbastanza ampio per permettere l’arcinoto e pratico vestire “a cipolla”. Un’affettuosa nota particolare va dedicata alla cravatta. La ritengo un elemento essenziale, qualcosa di irrinunciabile, la sottile linea grigia che separa la sciatteria dal vestire. Ovviamente vorrei portarle tutte con me, ma sarò costretto a fare delle scelte che vigliaccamente rimando all’ultimo minuto.