QUELLA TERRA….. IN MEZZO !

Quasi con ossessiva ripetizione l’insuccesso e la casualità hanno accompagnato la storia delle più importanti scoperte geografiche: sono tanti coloro che hanno inutilmente  cercato le sorgenti di un fiume e hanno invece trovato un lago oppure, spingendosi all’interno della giungla per disegnare la mappa di un territorio, si sono imbattuti nei resti di una civiltà dimenticata. Allo stesso modo, in molti hanno creduto di conquistare ciò che si erano ripromessi di trovare, scoprendo invece, per puro caso, un mondo fino a ieri sconosciuto ed entrando così a pieno titolo nel grande gioco dell’immortalità degli esploratori.  

Anche  la ricerca del passaggio a nord ovest, quella via marina  mai trovata che avrebbe dovuto  congiungere l’Europa all’Asia evitando i ghiacci artici, non è sfuggita a questa “imprevedibile costante”, e certamente il Canada sarebbe stato scoperto molti secoli più tardi se, inseguendo il sogno di quella rotta, le potenze europee non avessero finanziato le spedizioni di Caboto, Cartier, Frobisher, De Champlain, Cook, Hudson e altri ancora. Ma costoro si imbatterono nella impenetrabile realtà di quella terra che, con le sue foreste senza fine, si frapponeva tra i loro sogni e all’avidità dei loro interessati mecenati. La maggior parte di questi uomini audaci non riuscì a tornare indietro per raccontare la storia della propria sconfitta: morirono perduti nel freddo e nella solitudine, lungo il tempo e sotto il cielo di uno dei tanti, interminabili, freddissimi inverni canadesi che divennero  i silenziosi custodi delle loro storie.

A quelli che riuscirono a far ritorno in patria non rimaneva altro che allargare le braccia e mormorare a capo chino:-lì… c’è la terra in mezzo!

Quella “terra in mezzo” era  un paese immenso, freddo, sconosciuto e ostile, tanto da far esclamare al suo scopritore, un intirizzito Jacques Cartier, mentre nel 1534 risaliva il golfo di San Lorenzo: “questa è certamente la terra che Dio ha destinato a Caino”. Più romanticamente un anonimo componente della seconda spedizione del norvegese Amundsen annotò nel suo diario: “il Canada confina a sud con le montagne, a nord con il ghiaccio, a est e ovest con il cielo”. Questa è forse la definizione migliore di quello che è oggi il secondo paese al mondo per estensione geografica, abitato da soli 32 milioni di persone sparse lungo le coste del Pacifico e dell’Atlantico, ma preferibilmente schiacciate al confine con gli Stati Uniti. Un paese che a distanza di secoli rimane ancora sospeso tra diverse identità. Essendo però una nazione giovane, sembra apparentemente   libera dalla gabbia  dei comuni ricordi e, sfruttando il privilegio della sua vastità, non costringe chi la abita alla condivisione di una storia il cui inchiostro della memoria non è stato ancora asciugato dal vento del tempo.

Così, al riparo dei suoi inverni, ancor oggi il Canada regala la peculiarità di essere uno degli ultimi posti del pianeta dove ognuno può dimenticare il passato e ritagliarsi uno spazio su cui costruire un futuro senza dover fare i conti con l’obbligatoria accettazione delle diversità del vicino di casa. Ma dal momento che sin dagli albori della civiltà l’uomo si è sempre contraddistinto per la sua naturale predisposizione alla litigiosità, nelle zone più affollate del  “condominio “ canadese  sopravvivono alcune cocciute specie di inquilini che non resistono alla tentazione di accapigliarsi in nome dei gigli di Francia in contrapposizione alla Union Jack, ancora indecisi se ordinare a colazione  porridge o croissant, tè o “cafè au lait”. Fortunatamente si tratta di una minoranza che sta svanendo dietro l’ecumenico incalzare  della coca cola e delle uova al bacon.

La natura, che esprime al meglio la sua vanità, è l’indiscussa proprietaria di queste terre, una natura che custodisce i moderni Eldorado che in futuro verranno saccheggiati, come è sempre avvenuto, senza  regole e senza riguardo, in nome del “progresso”, parola magica che nasconde senza arrossire i più diversi “perché”, dalla semplice necessità all’insaziabile avidità.

E allora, prima che tutto ciò accada, vale la pena tornarci ancora una volta – da solo, senza fretta e senza un itinerario, come è mia abitudine – sperando di incontrare  sulla strada che giorno dopo giorno mi verrà incontro,storie e colori da aggiungere ad una curiosità fortunatamente  senza limiti.

Ho sempre sostenuto che non è possibile capire un paese se non lo si vede “nel tempo giusto” ossia con quelle luci e quei colori che sono parte essenziali del suo panorama. La “mia” stagione canadese inizia con l’autunno e finisce con la primavera, quando le foreste cambiano colore ad ogni curva e chi le abita si sente finalmente a proprio agio con il vento del nord che diventa ogni giorno più freddo.

Lascio ad altri l’illusione di cieli perennemente azzurri ,ordinati prati in fiore,barbuti boscaioli e sorridenti pescatori in maniche di camicia; lascio ad altri le parentesi estive dentro cui viene racchiuso un momento eccezionale, a me incuriosisce quella “terra in mezzo” con la normalità della neve che cade senza fretta, seguendo la strada di un silenzio tutto da ascoltare e, se me lo permetterà… anche da raccontare.

 

 

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