LA MIA UMBRIA

La “mia Umbria” siede fuori la porta di un vecchio casale a guardare con signorile indifferenza il tempo che le corre davanti, concedendosi solo a chi la sa ascoltare rispettoso dei suoi lunghi silenzi.
Dove Lei vive, a differenza di altri arcinoti posti della Regione non ci sono vini pregiati, celebri santi, chiese imponenti, variopinte marce, ne tantomeno sagre, palii o quintane fatte ad uso e consumo di chi esce domenicalmente dalla città. A volte se li vede passare davanti “quelli della città” che corrono a ritrovarsi in quei ristoranti tutti troppo uguali, dove le sale sono imponenti come le navate di una cattedrale e in cui l’inevitabile squillare dei cellulari fa compagnia all’indifferente strepitio dei bambini che si rincorrono tra i tavoli inseguendo il nulla. Dopo aver mangiato più del dovuto rimane solo il tempo per una svogliata passeggiata e poi alle prime luci dei fari si torna impazienti verso la calcistica orgia televisiva, con i portabagagli zeppi dei sapori di una volta che non si sono saputi nè apprezzare nè capire perché per farlo ci vuole il tempo e il silenzio accompagnati da una bella storia.
La “mia Umbria” vive nascosta in un posto dove tutti la possono trovare ma solo in pochi la possiamo vedere, gelosa della Sua apparente monotonia e dei suoi rituali che profumano di un qualcosa che viene da lontano,indifferente alla fretta raccontando poco ma ricordando molto.
E’ orgogliosa e pretende di essere capita prima di concedere la Sua amicizia che se l’avrete lo sarà per sempre, senza nulla chiedere ma generosamente dando in cambio molto.
I più però si stancano di quella riservatezza e scambiandola per superbia, preferiscono allontanarsi scomparendo da un giorno all’altro come da un giorno all’altro erano entusiasticamente arrivati, nella cittadina presunzione di capire tutto ed avere subito.
Per arrivarci è semplice: si prende l’autostrada e la si abbandona ad Orte si prosegue ancora tortuosamente avanti con le strade che si restringono sino ad arrivare là dove le case in pietra hanno le mura spesse e le finestre strette, mentre l’orizzonte non è tagliato dagli ineducati fili dell’alta tensione. E’ facile non si può sbagliare!
La Sua stagione è l’autunno con la terra scura dei campi mossa di fresco e i boschi che ogni giorno vanitosamente cambiano colore, mentre il vento della prima tramontana sparge dovunque l’odore di legna che brucia nei camini soffiando via l’impertinenza delle nuvole per far posto alle pettegole stelle della sera. L’autunno, con il latrato dei cani, e quel chiamarsi lontano delle battute di caccia e l’odore della prima pioggia che riempie l’aria del profumo dei funghi.
Io e Lei ci siamo capiti subito ma prima di darLe del “tu“ ho rispettosamente aspettato che mi invitasse a cena: ora sopporta con indulgenza le mie lunghe assenze, di cui però l’avverto con largo anticipo rendendola complice e partecipe dei miei progetti. Mi ascolta, scuote la testa e regalandomi il sorriso di un tramonto mi augura buon viaggio.
Poi mi aspetta sino al ritorno ma solo quando avrò superato quella stretta gola dove il sole non batte mai e sentirò ancora una volta il chiudersi della porta dietro di me, La vedrò venirmi incontro con quella signorile semplicità che la rende unica: ed allora mi sentirò finalmente a casa.
La guarderò ancora battere il ferro ed impastare il pane, o mi siederò accanto ad una qualche stufa parlando con chi in quel momento ha avuto la mia stessa idea. Ascolterò racconti di caccia e di cani e del vino che non è venuto bene e dell’olio che è sempre troppo poco; mi siederò in cucina e ci faremo compagnia parlando di tutto e gustando con la lentezza giusta i sapori di una volta. Non c’ è la fantasia dell’impossibile nelle sue storie ma solo l’affascinante cronaca dei giorni vissuti e i mestieri sono sempre quelli di una volta, fatti da chi conosce l’importanza del necessario e la semplicità delle cose. Le chiese a differenza che altrove sono piccole ed i santi sconosciuti ai calendari e i cimiteri sono tanto minuscoli quanto numerosi, perché anche in un’altra vita non ci si vuole allontanare dall’orto di casa ne tantomeno dare fastidio al vicino.
La “mia Umbria” ha cento volti di ogni età e mille sorrisi di ogni stagione, ed anche se il dolore a volte non La risparmia Lei lo combatte con forza, senza abbandonarsi alla nera lamentazione per chi è andato via in punta di piedi per non dare fastidio:così si usa da quelle parti.
I suoi nomi sono tanti e ciascuno mi è caro ….. perché loro tutti insieme sono la “mia Umbria”, ossia quella nascosta parte del mondo che mi ha accettato senza riserve,regalandomi il tempo avvolto nella introvabile carta dell’amicizia e tenuto ben stretto dal nodo dell’ affetto.


Francesco de Marzio

 

MY UMBRIA

My Umbria” sits outside the door of an old farmhouse, watching time go by with elegant indifference, giving herself only to those who respectfully listen to her long silences.
Where she lives – unlike other very well-known places in the Region – there are no prized wines, celebrated saints, impressive churches or colourful markets, nor any town festivals, palios or jousting tournaments created for those who head out of the city on Sunday outings. Sometimes she sees “city folk” pass by, hurrying to get to those restaurants that are all the same, where the rooms are as big as cathedral naves and the inevitable ringing of mobile phones accompanies the din of children running around the tables, chasing nothing. After eating more than they should, they barely have enough time for a listless stroll and then, as cars begin to turn on their headlights, they impatiently head back to the televised orgy of football, the boots of their cars laden with the old-fashioned foods that they have been unable to appreciate or understand, as that would take time and silence in the company of a good story.
“My Umbria” lives concealed in a place where everyone can find her, yet very few of us can see her. She jealously guards her ostensible boredom and her rituals that smell like something from far away, and she is unaffected by haste, saying little but remembering a lot. She is proud and demands to be understood before she offers her friendship. But once you gain it, it’s yours forever: she will ask for nothing but will generously give a great deal in return.
Nevertheless, most people tire of her reticence and, mistaking it for arrogance, prefer to stay away, vanishing from one day to the next just as quickly as they had enthusiastically arrived with their citified presumption of understanding everything and obtaining things immediately.
It’s easy to get here. You take the motorway and exit at Orte. Then you wind your way along roads that get progressively narrower until you reach the place where stone houses have thick walls and narrow windows, and the horizon is not sliced by rude high-power lines. It’s hard to get lost!
Her season is the autumn, when the dark soil of her fields is newly ploughed and the woods vainly change colour every day, as the first north wind wafts the scent of logs burning in fireplaces and blows insolent clouds away to make room for tattling evening stars. Autumn, with the howl of dogs and the distant sound of hunters and the first rain that fills the air with the smell of mushrooms.
She and I understood each other instantly, but before addressing her with the informal “tu” I respectfully waited for her to invite me to dinner. Now she indulgently puts up with my long absences, of which I inform her well in advance, making her part of my projects. She listens to me, shakes her head and, with the smile of a sunset, wishes me bon voyage.
She awaits my return, but only when I pass through the narrow gorge where the sun never shines and I hear the door close behind me once more do I see her come towards me with the aristocratic simplicity that makes her unique. And then I finally feel I’ve come home.
Once more I will watch her hammer iron and knead bread, or I will sit next to a wood-burning stove, talking to someone who had the very same idea. I will listen to tales of hunting and dogs and wine that didn’t turn out well and olive oil that is always in short supply; I will sit in the kitchen and we will keep each other company, talking about everything and, with perfect slowness, savouring old-fashioned flavours. Her stories are not marked by the creativity of the impossible but are simply the fascinating chronicles of elapsing days. Crafts are still those of yore, conducted by those who know the importance of what’s necessary and the simplicity of things. As opposed to other places, the churches here are small and the saints unknown to calendars. The cemeteries are as minuscule as they are numerous, because even in another life no one wants to be too far from the kitchen garden or bother the neighbours.
My Umbria” has hundreds of faces of every age and thousands of smiles of every season. Although sorrow does not always spare her, she battles it with fortitude, never abandoning herself to dire grief over those who have tiptoed off quietly to avoid being a nuisance: a custom around these parts.
She has many names and each one is dear to me … because, together, they are “my Umbria”, that hidden part of the world that has accepted me unreservedly, giving me the gift of time wrapped in the hard-to-find paper of friendship and tied securely by the knot of fondness.


Francesco de Marzio